Luca 9:28-36

È quando si svegliano che vedono la Sua gloria

Sintesi. Le immagini dell’universo riprese dai moderni telescopi mostrano la stupefacente gloria del creato in una maniera che nessun altro fin ora, nella storia dell’umanità, aveva potuto assistere. C’è, però, qualcosa di ancora più stupefacente e glorioso: la gloria di chi quell’universo ha creato e che traspare nel volto di Gesù Cristo. Per la maggior parte di chi l’ascolta, quest’affermazione è incomprensibile ed insensata. È una reazione che non sorprende se si considera l’insensibilità ed “il sonno” dei più. A relativamente pochi eletti la gloria di Cristo è però stata rivelata nella risurrezione di Cristo, e persino prima, nell’episodio evangelico che va sotto il nome di “Trasfigurazione”, quello che esamineremo questa settimana. Quali ne erano le condizioni, e a chi si rivela oggi la gloria e la rilevanza di Cristo?

Un metodo appositamente selettivo

La gente di questo mondo sporca, insudicia, corrompe e rende brutto e volgare tutto ciò che tocca. Non per niente Gesù raccomandava ai Suoi discepoli: “Non date ciò che è santo ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le pestino con le zampe e rivolti contro di voi non vi sbranino” (Matteo 7:6). Per questo, il metodo di Gesù, nell’annuncio dell’Evangelo, era molto selettivo e discriminante. Diceva ai Suoi discepoli, coloro che aveva spiritualmente rigenerato: “A voi è dato di conoscere il mistero del regno di Dio; ma a quelli che sono di fuori, tutto viene esposto in parabole” (Marco 4:11). Difatti: “Non parlava loro senza parabola; ma in privato ai suoi discepoli spiegava ogni cosa” (Marco 4:34). Le parabole, volutamente ambigue, erano per le folle e le capiva chi le doveva capire. A coloro, però, che aveva spiritualmente purificato e rigenerato, Egli rivelava tutta la bellezza e santità del Regno di Dio, tutta la bellezza e santità della Sua Persona.

Gesù effettua questa selezione persino nell’ambito della cerchia dei Suoi stessi discepoli. È per questo che solo a Pietro, Giacomo e Giovanni, molto prima della Sua risurrezione dai morti (rivelazione che, benché vasta è altrettanto selettiva), Egli rivela la magnificenza della Sua identità, quella che si nasconde nell’umiltà umana del Nazareno. Questo avviene nell’episodio che va sotto il nome della Trasfigurazione, che oggi esamineremo.

Quella che Gesù dà a quei Suoi discepoli è un’anticipazione della visione della Sua gloria. Si potrebbe pure dire si trattasse di un’anticipazione del Paradiso stesso. Notiamo fin dall’inizio che per poter partecipare a questa rivelazione essi dovevano essere risvegliati - letteralmente dal sonno che in quell’occasione li aveva colti. Come non vedervi il sonno, il torpore di tanti, persino fra quelli che si definiscono cristiani che non si rendono del tutto conto di chi sia Gesù e che magari “sognano” un Gesù ed un regno di Dio di fantasia, loro comodo, che non corrisponde a quello reale.

La trasfigurazione

Ecco così che un giorno, Pietro, Giacomo e Giovanni hanno il privilegio unico di “toccare con mano” che Gesù non era di fatto uno come tanti altri, ma uno la cui gloria, “peso”, importanza e rilevanza superava quella di qualsiasi essere umano, per quanto nobile, di qualsiasi angelo, per quanto glorioso. Si sarebbero resi conto che davvero la Persona di Gesù è la figura centrale e determinante del destino di questo mondo, la figura centrale e determinante del destino di ogni essere umano.

Leggiamo il racconto della trasfigurazione di Gesù secondo il resoconto che ce ne fa l’evangelista Luca.

“Circa otto giorni dopo questi discorsi, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo, e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, l'aspetto del suo volto fu mutato e la sua veste divenne di un candore sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, i quali, apparsi in gloria, parlavano della sua dipartita che stava per compiersi in Gerusalemme. Pietro e quelli che erano con lui erano oppressi dal sonno; e, quando si furono svegliati, videro la sua gloria e i due uomini che erano con lui. Come questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bene che stiamo qui; facciamo tre tende: una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli non sapeva quello che diceva. Mentre parlava così, venne una nuvola che li avvolse; e i discepoli temettero quando quelli entrarono nella nuvola. E una voce venne dalla nuvola, dicendo: «Questi è mio Figlio, colui che io ho scelto: ascoltatelo». Mentre la voce parlava, Gesù si trovò solo. Ed essi tacquero e in quei giorni non riferirono nulla a nessuno di quello che avevano visto” (Luca 9:28-36).

Il messaggio dei vangeli, anzi, dell’intero Nuovo Testamento, sembra essere ispirato da un’unica domanda che essi ci rivolgono: “Vi rendete veramente conto di chi è Gesù?”.

È una domanda sempre pertinente, perché quante persone ancora oggi, benché abbiamo udito di Lui, ancora vivono come se niente fosse! Ancora io non riesco a capacitarmi come sia possibile “fare come se niente fosse”, ignorarlo, minimizzarlo, non dargli il posto che merita nella nostra vita, quello centrale. Anzi, lo so benissimo perché avviene questo: la Bibbia stessa ci parla del dramma dell’incredulità e del peccato, ma umanamente – se servisse a qualcosa – vorrei prendere qualcuno per il bavero della giacca e scuoterlo forte e dirgli: “Ma perché non capisci? Perché non reagisci?” tanto mi sembra folle. Eppure…

Esaminiamo sommariamente il testo che ci parla della trasfigurazione.

Nel contesto della preghiera

“Circa otto giorni dopo questi discorsi, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo, e salì sul monte a pregare” (28).

Cose meravigliose erano avvenute la settimana prima di questo episodio. I discepoli di Gesù erano partiti per la prima volta in missione, e con successo: “Gesù, convocati i dodici, diede loro l'autorità su tutti i demòni e il potere di guarire le malattie. Li mandò ad annunziare il regno di Dio e a guarire i malati” (9:1,2). Poi vi era stata la miracolosa moltiplicazione di pochi pani e pesci per sfamare una grande massa di persone, avvenimento in cui “Tutti mangiarono a sazietà e dei pezzi avanzati si portarono via dodici ceste” (Luca 9:17). Poi vi era stata l’illuminazione della mente di Pietro che aveva compreso chiaramente e dichiarato che davvero Gesù è “il Cristo di Dio” (Luca 9:20). Gesù poi aveva annunziato la Sua dolorosa morte e risurrezione (Luca 9:18-22), mettendo pure in rilievo di fronte ai Suoi discepoli, avvertendoli, come seguire Lui, il Cristo, sarebbe loro costato molto in questo tipo di mondo (Luca 9:23-27). Infine, come coronamento di un’intensissima settimana, ecco l’evento della trasfigurazione.

La rivelazione di tutta la gloria del Cristo avviene in un momento di preghiera. Una vita tanto intensa (come una qualsiasi vita), infatti, non può essere portata avanti con successo senza la “ricarica” della preghiera, dell’incontro personale con Dio. Se ne aveva bisogno Gesù, tanto più dovremmo esserne persuasi d’averne bisogno noi. È, inoltre, nel contesto della preghiera, dell’approfondimento, che… si vedono le cose come veramente stanno.

Luca mette in evidenza quanta importanza desse Gesù alla preghiera, e quindi essa è il momento più appropriato per la Sua esaltazione e rivelazione. Se le persone superficiali, dubbiose e scettiche capissero come la risposta a tante loro domande potrebbe loro venire solo nel contesto della preghiera! È infatti nei periodi di preghiera che molto spesso che siamo testimoni della gloria di Dio. Rammentiamoci dell’esperienza di Isaia nel tempio.

Molti vanno in alta montagna per avere una “visione allargata” delle cose, della maestà e grandezza del creato e di Dio. Ancora di più capirebbero se andassero su una montagna per pregare veramente.

Gesù è davvero Dio con noi

Ecco così che: “Mentre pregava, l'aspetto del suo volto fu mutato e la sua veste divenne di un candore sfolgorante” (29). Ecco, dunque, come dicevo all’inizio, l’anticipazione della gloria di Gesù, nascosta sotto le Sue sembianze di vero uomo, che hanno il privilegio di avere Pietro, Giacomo e Giovanni.

Non c’è nessuno che, come Lui possa essere radiante di luce, di bellezza, di purezza, di forza. Non c’è nessuno come Lui che possa trasformare e rendere luminoso il volto e la vita di chi in questo mondo solo conosce la miseria e le brutture del peccato. Volete conoscere ciò che veramente è bello, pulito, luminoso, positivo, costruttivo, forte, amorevole, sano, buono, giusto? Volete conoscere le vere ricchezze? Volete purificare davvero la vostra vita? Tanti lo vorrebbero. Guardate a Gesù con fede. Diceva l’Apostolo: “E noi tutti, a viso scoperto, contemplando come in uno specchio la gloria del Signore, siamo trasformati nella sua stessa immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione del Signore, che è lo Spirito” (2 Corinzi. 3:18).

Nelle sue lettere, infatti, l’apostolo Paolo presenta Cristo in tutta la Sua gloria: anche lui ne è stato testimone. Lì la figura di Cristo risalta in tutta la Sua maestà. Gesù è il Creatore, il Primogenito, l'Artefice della creazione. Egli deve avere sempre il primato in ogni cosa! Ai cristiani di Colosse che pensavano che Cristo non fosse abbastanza per rendere significativa ed eterna la loro vita, egli è come se dicesse: “Cristo non è abbastanza? Che dite? Io vi dimostro, invece, che è il contrario! Egli è il Signore vittorioso, il Capo di ogni principato e podestà, la pienezza di Dio, l'Immagine del Dio invisibile. Tutti i tesori sono nascosti in Lui”. Se solo molti lo potessero capire!

Vi sorprendete come nella storia dell’arte molti artisti abbiano così tanto esaltato la figura di Cristo come nell’abside di tante antiche chiese?

Il compimento di una storia antica

Nella visione della trasfigurazione si associano, poi, due personaggi biblici del passato: “Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia” (30).

Mosè è colui attraverso il quale la Legge di Dio viene data al Suo popolo, lo strumento di liberazione dalla schiavitù d’Egitto, colui che lo ha guidato fino ai confini della terra promessa, il prototipo del Cristo. Ora, in Cristo, la sua missione è compiuta, e se ne rallegra. Elia, invece, era il profeta famoso per il suo zelo per Dio e il suo culto, che fu trasportato, anima e corpo, in cielo, precursore del Cristo (Malachia 4:5).

Anche la sua testimonianza a Cristo è compiuta, e se ne rallegra. In Cristo si riassume e si compie tutta la vicenda storica di Israele, di cui Mosè ed Elia ne sono i simboli. Cristo, infatti, è superiore a Mosè e ad Elia. Che cosa fanno con Cristo questi due personaggi nella visione? Lo dice il versetto seguente:

Avvenimenti universalmente rilevanti

“…i quali, apparsi in gloria, parlavano della sua dipartita che stava per compiersi in Gerusalemme” (31).

Mosè ed Elia appaiono in modo glorioso, divino, e parlano “dell’esodo” di Cristo, della Sua prossima partenza, della Sua morte, della Sua ascensione, la sua “uscita” dal mondo, profetizzata, della Sua ultima “spedizione” che trova nella morte e nella Sua risurrezione il punto culminante. Esse infatti significano e realizzano la redenzione, la liberazione dalla schiavitù del peccato, da Satana e dall’impossibilità salvifica dell’osservanza alla legge, di cui l’uscita dall’Egitto è simbolo.

Non per niente gli eventi circa la morte e risurrezione di Gesù occupano così tanto spazio nei vangeli rispetto al resto. Sono avvenimenti centrali per la nostra fede. Ne siamo coscienti?

Si può “dormire” di fronte a tutto quello?

Già, “ne siamo coscienti?”: ottima e pertinente domanda questa perché molto spesso, di fatto, di fronte a questa realtà …noi dormiamo! Notate infatti che cosa dice il versetto successivo: “Pietro e quelli che erano con lui erano oppressi dal sonno; e, quando si furono svegliati, videro la sua gloria e i due uomini che erano con lui” (32).

Molto probabilmente Pietro, Giacomo e Giovanni, erano stanchi per tutto ciò che avevano vissuto in quella giornata ed era naturale aver sonno. Quante volte, infatti, diciamo di aver sonno e di non aver tempo ne voglia di pregare la sera o di andare al culto la domenica mattina! Peccato, perché ci priviamo così delle rivelazioni e delle benedizioni che solo nei momenti di culto e di adorazione potremmo avere!

Che cos’è il sonno? È un’interruzione spontanea, reversibile e periodica dell’attività nervosa in rapporto con la vita di relazione. Nell’uomo è la sospensione dell’attività intellettiva, sensoriale e critica. Tutte le funzioni corporee sono ridotte a livello di base. Il tono muscolare è minimo, si abbassa la frequenza cardiaca e diminuisce la pressione arteriosa. È uno stato fisiologico necessario perché l’organismo possa reintegrare le proprie energie.

Tutto bene, tutto naturale, tutto normale, ma, come dice anche il proverbio: “Chi dorme non piglia pesci!”. Spesso infatti è il nemico di Dio, Satana, che “stranamente” ci fa avere sonno per privarci delle esperienze straordinarie che potremmo avere con Dio, delle Sue benedizioni. Pietro, Giacomo e Giovanni, quand’è che si rendono conto di chi è Gesù? “Quando si furono svegliati, videro la sua gloria”.

Mi sembra molto significativo questo inciso dell’evangelista Luca. L’apostolo Paolo scrive in una delle sue lettere: “Risvégliati, o tu che dormi,e risorgi dai morti, e Cristo ti inonderà di luce” (Efesini 5:14).

Un’esperienza paradisiaca

“Come questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bene che stiamo qui; facciamo tre tende: una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli non sapeva quello che diceva” (33).

Pietro, Giacomo e Giovanni, hanno avuto un’esperienza totalmente senza precedenti e sconvolgente. È come – ed è così – avessero pregustato il paradiso in terra. Il paradiso, infatti, significa partecipare personalmente e permanentemente alla gloria di Dio in Cristo.

“Andare in cielo”, essere “in paradiso”, infatti, non è null’altro che trovare il compimento ultimo della nostra umanità in piena comunione con Dio. Quel Dio che sulla terra con gioia abbiamo imparato a conoscere in comunione di fede ed ubbidienza a Cristo (sebbene parzialmente e con i tanti limiti della nostra peccaminosità), un giorno Lo godremo pienamente e senza più alcunché che possa frustrare quest’esperienza.

Pietro, Giacomo e Giovanni è come se dicessero: “E chi se ne vuole più andar via da qui? Rimaniamo così, dimentichiamo tutto il resto. Piantiamo qui le nostre tende…”. Pietro, però, non si rendeva ben conto della situazione. Quello era solo “un assaggio” del paradiso. Per il momento, dovevano ritornare nella realtà di questo mondo, certo, ben triste, ma era inevitabile.

Anche Paolo, un giorno, dice che avrebbe avuto molto più piacere essere in cielo col Signore, piuttosto che rimanere quaggiù. Eppure aveva ancora, su questa terra, un importante compito da svolgere. Ecco così che: “Mentre parlava così, venne una nuvola che li avvolse; e i discepoli temettero quando quelli entrarono nella nuvola” (34).

La visione termina, il sipario si chiude temporaneamente, ma in modo certo. Avrebbero dovuto continuare a vivere in questo mondo e svolgere il compito loro assegnato. La cosa non sarebbe stata né facile né comoda, ma il ricordo di quella visione li avrebbe sostenuti, perché essa sarebbe stata il loro obiettivo finale. Da dove traiamo la nostra forza e perseveranza?

Avendo di fronte a noi quello obiettivo da raggiungere, certo e sicuro. Il “concetto”, così viene ribadito un’ultima volta:

La conferma ultima

“E una voce venne dalla nuvola, dicendo: «Questi è mio Figlio, colui che io ho scelto: ascoltatelo». Mentre la voce parlava, Gesù si trovò solo. Ed essi tacquero e in quei giorni non riferirono nulla a nessuno di quello che avevano visto” (35,36).

L’autorevole voce di Dio ribadisce che il Suo Figlio Gesù, il Cristo, è la chiave di ogni cosa, della vita e della morte, per la creatura umana. È Lui che dobbiamo ascoltare con fiducia ed ubbidienza. Il messaggio viene impresso indelebilmente nel cuore e nella mente di quei discepoli di Gesù. Lo è pure nel nostro cuore e nella nostra mente?

Quale paradiso?

Vedere allora come il messaggio sia rilevante? Ci rendiamo contro di quanto Gesù sia decisivo per la nostra vita? Ci rendiamo conto di quanto Gesù sia decisivo per la nostra salvezza eterna? Vorreste voi andare, come si dice, “in paradiso” terminata questa vita terrena? Certo, non è vero? Benché nel nostro tempo prevalga il materialismo, la maggior parte delle persone crede nell’aldilà.

È sicura che, dopo questa vita terrena, si vada “a star meglio”, si vada in un mondo luminoso che la nostra tradizione chiama “il paradiso” o “il cielo”. Vi sono libri che descrivono esperienze di persone che, considerate morte per parecchie ore, tornano inaspettatamente in vita e descrivono di essersi viste trasportare in un mondo meraviglioso di luce e dopo un po’ di essere state “richiamate” indietro in questo mondo. Tutto questo è indubbiamente “consolante” per noi ai quali la morte fa paura. È una visione positiva ed ottimista quella della speranza di poter accedere tutti, un giorno, a quel “mondo meraviglioso” che è il paradiso.

Da dove ha preso, però, la nostra cultura quest’idea di paradiso? “È ovvio,” si risponde, “dalla religione e dalle insopprimibili aspirazioni del cuore umano”. “Dici la religione, ma quale religione?” ribatto io. Mi si risponde: “Dal cristianesimo, non è così?”. “Eppure,” dico io, “questa concezione del paradiso per tutti, a buon mercato, non mi sembra quadrare molto con quanto afferma la Bibbia, da cui questa idea trae origine. La Bibbia, infatti, oltre a descrivere sommariamente il paradiso, pone precise condizioni per potervi entrare.

Oggi ci troviamo di fronte alla contraddizione di uomini e donne che credono nell’esistenza del paradiso e sono sicuri che in qualche modo vi entreranno loro e i loro cari, ma che non ne vogliono proprio sapere dei requisiti che la Bibbia chiaramente precisa al riguardo dell’ingresso in questo “mondo meraviglioso”. Di fatto quello che molti credono e sperano è più che altro un paradiso le cui condizioni e criteri di entrata …sono loro stessi a stabilire!

Potremmo dire che il loro sia un “paradiso laico” in cui Dio ha di fatto la stessa scarsa attinenza che Egli aveva durante tutta la loro vita, un dio di comodo e dal “perdono facile”, un dio che “più lontano sta dalla loro vita e meglio è”, insomma, un dio e un paradiso a loro proprio uso e consumo! Mi chiedo allora su quale base possano credere a quello in cui credono. Sperano nel paradiso, ma non hanno mai veramente analizzato, come dovrebbero, la loro vita secondo i criteri della Bibbia e, scoprendosi peccatori, implorato consapevolmente il perdono e la grazia di Dio disponibile in Cristo. Sperano nel paradiso, ma non hanno mai preso veramente sul serio Gesù, il Cristo, come loro Signore, nelle cui mani stanno le chiavi di quel regno, pur avendo molto udito di Lui. Regno dei cieli e Cristo, nella Bibbia, sono inscindibilmente uniti. Come si può, mi chiedo, ignorare e disprezzare Cristo per tutta la vita e poi pretendere di entrare nel Suo regno senza neanche la parvenza di un misero pentimento?

Su quale base pensano di poterci entrare? Sull’idea che loro si sono fatti di Dio e del Suo regno? Oppure sulla base di quanto qualche predicatore compiacente ha detto loro in contraddizione con ciò che è chiaramente esposto dalla Bibbia? Non è assurdo questo? Gesù, il Cristo, è presenza centrale e determinante del paradiso: essere in paradiso – come vedono anticipatamente Pietro, Giacomo e Giovani nella trasfigurazione, significa dimorare per sempre accanto a Lui. Egli è l’essenza della gloria di quel luogo. Egli è Colui che – a certe condizioni – ne ha reso possibile l’accesso ai peccatori. Egli è Colui che in cielo rivela Dio.

Centralità del Cristo di Dio

Se Cristo fosse una qualche figura periferica del mondo a venire, sarebbe possibile concepire di raggiungerlo senza di Lui. Ma “l'Agnello è la sua lampada” (Apocalisse 21:23), cioè il Cristo. Immaginiamo noi stessi spiegare a Dio perché dovrebbe ammetterci nel Suo regno celeste. Uno dice: “Non mi sono mai veramente interessato del Figlio che Tu, o Signore, tanto ami. Non l’ho mai preso sul serio, l’ho ignorato, l’ho disprezzato, non mi importava nulla della Sua morte, mi sono tappato le orecchie quando mi invitava a Sé, non ho mai considerato i Suoi ammonimenti. Gesù Cristo non ha mai significato nulla e non significa nulla per me. Per quanto mi riguarda l’aver inviato Tuo Figlio in terra non era necessario, è stato uno spreco senza significato. In altri rispetti, però, ho cercato di essere una persona decente e di fare del mio meglio. Mi aspetto, così, o Dio, che Tu mi permetta di entrare nel regno di quel Cristo che ho sempre disprezzato e rifiutato!”.

Non vi fa’ venire i brividi un discorso simile? Non sentite quanto siano rozzamente blasfeme queste parole? Però, in sostanza, è questa la pretesa dell’incredulo, e nulla potrebbe essere più folle di questo. Senza Cristo, preso seriamente, nei Suoi termini non vi può essere speranza alcuna d’accesso al paradiso. Per questo è assolutamente urgente confessargli l’arroganza e l’empietà del nostro atteggiamento, chiedergli perdono ed invocare la Sua grazia, invocarlo a che ci converta e ci riceva.

Se lo facciamo con tutto il nostro cuore Egli lo farà e il regno dei cieli potrà essere nostro. “E una voce venne dalla nuvola, dicendo: «Questi è mio Figlio, colui che io ho scelto: ascoltatelo»! “Ascoltandolo”, ci renderemo conto della gloria del Cristo.

Paolo Castellina, rielaborazione del 2 febbraio 2016 della predicazione del 1 maggio 2002.